| Narrato Pensato Parlato
La sveglia suona, avete presente quel maledetto stridio che avreste voglia di buttare giù dalla finestra pur di farlo star zitto? Ecco, quello è il suono della mia sveglia, straziante e petulante che ti intima di sollevarti che è finito il tempo per poltrire e che se potrebbe, ti butterebbe giù dal letto con la forza. Lentamente socchiudo il primo occhio e subito la luce del sole mi abbaglia, costringendomi a rigirare nel letto e a sprofondare nel morbido e soffice cuscino. Un sonoro sbadiglio e con la mancina cerco il comodino, urto per sbaglio una vecchia fotografia che cade puntualmente sul tappeto e finalmente trovo quell'aggeggio metallico infernale che con un paio di colpetti smette il suo stridulo canto. Lentamente strofino il viso sul letto e mi alzo assonnata quasi come una zombie appena tornata alla vita, probabilmente avrò tracce di bava sulla bocca ed i capelli tutti arruffati mentre il mio pigiamino con le ranocchie mi fa sembrare una bambina. Avete presente quel momento della giornata in cui non ti ricordi neanche come ti chiami, nel quale non riesci a collegare quei due neuroni che si sono appena svegliati con te? Ecco, quel momento dura meno di un minuto e subito dopo ti accorgi di quanto tu sia in ritardo per tutto ciò che c'è da fare e ti metti all'opera. Rapida come una saetta scappo in bagno per lavarmi e risvegliarmi completamente e mi fiondo giù in cucina sperando di trovare qualcosa di commestibile nella credenza. Ovviamente è vuota come il mio pancino, la vita della studentessa è dura, i pochi risparmi che avevo da parte stavano finendo e la dispensa era sempre più vuota, speravo che quando sarei diventata genin sarebbe tutto cambiato ma ecco, diventare una shinobi! L'esame si stava avvicinando ma ero davvero abbastanza pronta. Indossai la camicetta bianca ed il maglioncino smanicato, gonna e scaldamuscoli. Sembravo una perfetta damerina ma amavo la mia divisa. Sandali ai piedi ed ancora con un biscotto in bocca mi lanciai per le strade dell'accademia. L'edificio in questione non era troppo lontano dal mio appartamentino, o meglio di Hiruko, il ragazzo ch mi aveva ospitata e che non era ancora tornato dopo una lunga missione. Ogni tanto mi preoccupavo ma quando mi veniva voglia di andarlo a cercare mi arrivava puntuale una sua lettera che mi raccomandava di aspettarlo, che stava bene e che presto sarebbe tornato. A volte mi domandavo se mi spiava da qualche posto molto vicino.Cercavo di muovermi in fretta saltellando fra i tetti del villaggio per far prima stringendo un’ampia borsa a tracolla in bella mostra sopra i miei vestitini "casual".Da lontano dimostravo una certa agilità, forse data anche dal mio fisico gracilino e palesemente minuto. Un altro salto e mi riversai per le vie della città. “Devo sbrigarmi, sono in estremo ritardo … Ma perché non mi decido ad avviarmi prima” mormorai fra me e me arricciando il nasino. Continuavo a guardarmi indietro quando, senza accorgermene alcune cassette della frutta si palesarono dinanzi a me intralciando il mio passaggio. La mia reazione è un attimo, punto i piedi, alzo rapida i talloni e cerco di imprimere forza sui miei arti inferiori riuscendo a spiccare un salto portando al ventre le ginocchia per aumentare la distanza dal suolo, mi distaccai dal suolo di oltre un metro grazie alla lunga corsa superando con agilità l’ostacolo. Subito dopo atterro fortunatamente sul terriccio morbido, ancora uno sguardo dietro mentre alcuni signori mi gridano dietro. Una rapida espressione mortificata grattandomi il capo e continuo la corsa sperando di non essere troppo in ritardo. Arrivata finalmente all'accademia pensavo di trovare già il maestro in piena lezione invece la mia espressione si fece stranita quando, aprendo la porta della classe, nella baraonda generale, il sensei non c'era. Avevo ancora il fiatone. Rapida raggiunsi il mio posto, ignorando, momentaneamente i miei compagni con i quali non avevo stretto molta amicizia e scelsi un posto tranquillo, in disparte, lontano da occhi indiscreti. Una volta seduta misi la borsa sul banco ed il mi osguardo iniziò a fissare con insistenza la finestra che dava verso l'esterno, con il volto poggiato sulla mancina, sperando di scorgere Hiruko da lontano.
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